In totale spregio all’attuale dibattito – interno ed internazionale – sull’applicabilità del principio del ne bis in idem in campo penale/tributario, la legge di stabilità 2016 introduce una norma destinata ad acuire il problema, anziché risolverlo.
Il comma 141 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 – pubblicata in GU Serie Generale n.302 del 30-12-2015 – Suppl. Ordinario n. 70 – ha modificato la norma che attualmente inserisce i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito, che non siano già stati sottoposti a sequestro o confisca penale, tra i redditi rilevanti ai fini delle imposte.
La legge di stabilità 2016, difatti, ha aggiunto all’articolo 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 il seguente periodo:
«In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per qualsiasi reato da cui possa derivare un provento o vantaggio illecito, anche indiretto, le competenti autorità inquirenti ne danno immediatamente notizia all’Agenzia delle entrate, affinché proceda al conseguente accertamento»
La modifica in commento, dunque, rende corrispettivo l’obbligo di segnalazione già pendente in capo all’Amministrazione Finanziaria; obbligo che, val la pena sottolinearlo, viene spesso utilizzato strumentalmente al fine di ottenere il raddoppio dei termini di decadenza per procedere all’accertamento tributario.
Appare evidente, come anticipato in premessa, che tale interpolazione normativa altro non farà che moltiplicare i casi di duplice processo – penale e tributario – per lo stesso fatto storico.
Il tutto con buona pace della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, della giurisprudenza da questa elaborata a partire dalla sentenza Nykanen c. Finlandia, dell’attesa pronuncia della Corte di Giustizia UE sulla questione sollevata dal Tribunale di Bergamo, e del conseguente dibattito sorto in dottrina ed in giurisprudenza.